Corriere della Sera -

Fabbriche aperte riparte da «Lover»

Questo è un viaggio che attraverserà una metropoli, qualche città importante e molti, moltissimi piccoli paesi sconosciuti. Ha un ovvio perimetro di base: il triangolo industriale Lombardia-Veneto-Emilia-Romagna. Lo percorreremo.

«Open Factory» — la domenica delle fabbriche aperte — sconfinerà però spesso, com’è giusto che sia: se, per quanto a fatica, l’Italia è ancora la seconda manifattura d’Europa, è perché a dispetto degli infiniti ostacoli non c’è quasi angolo, neppure nelle regioni più depresse, in cui non «vivano» uno stabilimento, un laboratorio, un’azienda agricola. Tante realtà al Nord, poche mano a mano che si scende verso Sud.

Ma tutte, da Nord a Sud, accomunate da almeno un paio di cose: il legame strettissimo con il territorio e l’orgoglio del lavoro ben fatto.

L’orgoglio del lavoro

Imprenditori e dipendenti lo declinano in modo diverso, naturalmente, e tuttavia c’è. La differenza semmai è che, fino a non troppi anni fa, gli uni e gli altri si sarebbero (nel caso) sentiti costretti a nasconderlo. Dopo, c’è stata la Grande Crisi.

Ed è successo che il Paese nel suo complesso non ha, pare, imparato tutto ciò che avrebbe dovuto-potuto dalle relative, carissime lezioni impartite in materia di cultura industriale. Se l’avessimo fatto, probabilmente non saremmo di nuovo l’ultima e le più debole delle economie europee. Chi però sul campo c’era e ha resistito continuando a produrre, creare, fare, senza mai smettere di stampigliare il suo «Made in Italy» su macchine utensili supertech o vini doc, packaging via via più ecocompatibili o supercar o integratori alimentari, per poi spedirli ovunque nel mondo, beh: non si vergogna più di esserne fiero. E di raccontarlo.

L’esperienza 2018

Un anno fa, quando L’Economia e ItalyPost hanno organizzato il primo viaggio «dentro» le aziende dell’Italia che produce ed esporta, Open Factory era innanzi tutto una scommessa. Imprenditori che avevano voglia di aprire i loro stabilimenti (o laboratori, o tenute agricole) ne avevamo incontrati parecchi, tanto tra le piccolissime family company quanto tra le grosse multinazionali come Snam, Eni o Nestlé.

La domanda-sfida era: ci sarà anche un pubblico curioso di conoscerli, di andare a vedere com’e fatta una fabbrica, come ci si lavora, come nascono un mobile di design e, magari lì accanto, prodotti più hard tipo i trattori o l’acciaio?

La risposta è stata: 20 mila visitatori. Ventimila persone che hanno scelto di passare una domenica pomeriggio non al cinema o sulle prime nevi (era il 25 novembre), ma a fare turismo industriale tra la cinquantina di centri che hanno aperto le loro porte al pubblico. Spesso con gli imprenditori e i dipendenti (tanti, tutti volontari) fianco a fianco nella stessa, insolita divisa. Guida del tour.

La scommessa a quel punto è diventata altro: la conferma che per il mondo della manifattura ci sono, là fuori, un interesse e un’attenzione forse inaspettati, sicuramente inespressi (fin qui), certamente da raccontare. Perciò Open Factory non è più un test: L’Economia e ItalyPost stanno organizzando la seconda edizione, la «domenica delle fabbriche aperte» è già in calendario per il pomeriggio di domenica 24 novembre.

Come l’anno scorso, le tappe del viaggio saranno tante da rendere possibile un percorso completo del circuito produzione-servizi made in Italy. Scala nazionale, dunque, ma con il triangolo Lover — copyright del sociologo Aldo Bonomi — in scontato primo piano. Del resto: sono Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna a portare al Paese il 40% del Pil, il 56 per cento dell’export, il 62 per cento dei brevetti. Con «appena» il 32 per cento della popolazione.

Le locomotive

Sono numeri che farebbero delle tre regioni, da sole, la sesta economia europea. Dal punto di vista statistico spiegano al meglio l’espressione «locomotiva d’Italia». Quel che le cifre non possono mostrare è però tutto ciò che c’è dietro. Lo spirito imprenditoriale. Le insospettate capacità di innovazione. Il lavoro che, almeno qui, anche in fase produttiva è sempre fatica e sudore, certo, ma non più l’alienazione della vecchia catena di montaggio: è un mix di saperi tecnici e abilità artigianali.

Infine — ma al centro — le fabbriche. Anche quelle dove si fa meccanica o metallurgia non hanno più nulla a che vedere con le immagini ereditate da un Novecento ancora molto simile all’Ottocento dei romanzi di Charles Dickens: lo sporco, il grasso, il rumore, l’aria pesante di fumi d’olio e di saldatura.

Ecco. Open Factory porterà i lettori de L’Economia dentro la Fabbrica 4.0, a scoprire i motori della «locomotiva Italia» e a farsi spiegare direttamente da imprenditori e dipendenti come funzioni il meccanismo.Lo racconteremo, su queste pagine nel corso delle prossime settimane. Nel frattempo, c’è un sito dedicato: aggiornamento continuo su www.open-factory.it, con le schede delle aziende che preparano il «porte aperte» del 24 novembre.

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