A metà della settimana scorsa, dunque dieci giorni prima dell’Open Factory Sunday, parecchie aziende avevano già il tutto esaurito per ogni turno di visita. L’anteprima riservata agli studenti — l’Open Factory Schools, i laboratori organizzati da alcune di quelle stesse aziende per venerdì 23 — è sold out da un po’. E e parliamo di 5 mila ragazzi iscritti. Per il bilancio finale, considerato il trend, le stime dicono che a passare una domenica pomeriggio visitando le «fabbriche aperte» potrebbero essere, in totale, 15 mila persone.
Non sono numeri piccoli. Non se si considera il contesto. A questo primo viaggio nel manifatturiero italiano, organizzato per i lettori da L’Economia del Corriere della Sera e da ItalyPost, partecipano 50 imprese (siano piccole e medie industrie o colossi multinazionali come Eni, Cnh Industrial o Nestlé). I loro «cancelli», domenica prossima, li apriranno per quattro ore (dalle 15 alle 19), e ci sono ovviamente dei turni di visita (per iscriversi: www.open-factory.it). In alcune fabbriche possono essere a ciclo quasi continuo (alla Siap-Carraro di Maniago, Pordenone, iniziano addirittura ogni cinque minuti), in altre (dai centri di ricerca agli aeroporti) evidenti ragioni di sicurezza costringono a un numero chiuso molto più basso. Sintesi: il già quasi tutto esaurito e una media di 300 persone ad azienda — qualunque tipo di azienda: gli ingranaggi per motori sono richiesti quanto i Baci Perugina, le protesi ortopediche hi tech quanto il caffè Lavazza o il tour al Porto di Venezia, a capire per esempio come si gestisca la movimentazione di merci per 25 milioni di tonnellate l’anno — non possono essere liquidati come irrilevanti.
Se questa prima edizione di Open Factory è un test, e lo è, accende una spia che conferma tanti altri segnali in arrivo da tante altre realtà dell’Industria Italia. Da un lato c’è un numero crescente di imprenditori e manager, di ogni dimensione e ogni settore, che vuole farsi conoscere sul territorio in cui opera: e lì non c’è pubblicità o spot che tenga, l’unico modo (unico se si scommette sulla trasparenza) è aprire le porte della fabbrica, far incontrare le persone che ci lavorano ogni giorno, mostrare cosa fanno e come e dove finisce (sui mercati mondiali, in genere) ciò che producono. Dall’altro lato — quello più significativo, probabilmente — c’è gente, tanta, che vuole conoscere, e decide di passare una domenica pomeriggio dentro uno stabilimento, un laboratorio, un’azienda di consulenza hi tech per capire direttamente che cosa significhi «fare impresa» oggi. È anche questa una forma di orgoglio del lavoro. E togliamoci pure ogni possibile sfumatura di retorica: in tempi di reddito di cittadinanza, non è qui che va cercata.
Perugia-Firenze. Dai «baci» ai Medici
Nel cuore dell’Italia. In tutti i sensi. Lunedì scorso, nella prima puntata dedicata ai possibili itinerari cultural-manifatturieri dell’Open Factory Sunday, il viaggio partiva dalla «via della seta» lombarda, passava dalle ville venete, si concludeva tra le montagne della Carnia. Riprenderlo dall’Umbria e risalire, intanto, verso i luoghi del Rinascimento rafforza il senso di quanto sia ricca la nostra industria, e di quanto contino radici, tradizione, «memoria» dei territori. Come sanno bene anche le multinazionali, quando entrano in certi business (e se lo fanno con una visione). Prendete il cioccolato e prendete Perugia. Vi verranno in mente subito Perugina, i «Baci», magari la fiction che ha portato in milioni di case la storia di quella Luisa Spagnoli che «il bacio» l’ha inventato (lei, per la verità, l’aveva chiamato «Cazzotto») e rimane il simbolo dell’orgoglio imprenditoriale umbro. Ha cambiato qualcosa, nell’identità aziendale, il fatto che da trent’anni la proprietà sia della svizzera Nestlé? La risposta può darla direttamente la fabbrica, domenica prossima, con le porte aperte sulla Casa del cioccolato, sul museo, sulla produzione (ambitissima, si suppone, la dimostrazione dei maître chocolatier con conseguente degustazione).
Altra provincia, altra regione, altro made in Italy. Raramente si pensa ad Arezzo, quando si parla di lusso e moda. Eppure nel mondo la conoscono più come «città dell’oro» che per le sue bellezze d’arte e di paesaggi. In effetti: la Unoaerre è uno dei leader globali, in campo orafo, e non è difficile capire come lo sia diventata osservando, semplicemente, la collezione raccolta nel museo storico aziendale.
Più o meno dalle stesse tradizioni artigianali, in qualche modo, nasce (nel 1974) la Lem di Levane: è il nickel e non l’oro, l’elemento che «lavora» per gli accessori dei grandi marchi d’alta moda, ma sono suoi gli impianti considerati top per i cosiddetti «trattamenti galvanici». Così come la Cofil — a Montemurlo, Prato — concorrenza cinese — è tra le aziende di riferimento per i filati: il tour, lì, segue il percorso che trasforma la materia prima in «filo» pronto per maglie e tessuti.
Dal pratese al Mugello ci sarebbe, in teoria, un pugno di chilometri. L’Appennino li fa diventare una cinquantina, ma Scarperia merita il viaggio: fa parte dei «Borghi più belli d’Italia» e qui, per tornare al Rinascimento, c’è una tenuta che i Medici usavano per la caccia. Ora c’è la sede di Acqua Panna (anche questa del gruppo Nestlé). Salire alle sorgenti sarebbe bellissimo ma complicato, in questa stagione. Open Factory sarà comunque l’occasione per un «viaggio» in una risorsa — l’acqua — che diamo per scontata e tendiamo a sprecare: se ci fermassimo a riflettere, per una volta, su quanto è preziosa per la salute nostra e del pianeta?
Cremona-Milano. Sull’asse dell’energia
La via della moda. La via del design. La via della manifattura. La Lombardia è tutti questi possibili percorsi, e tanti altri ancora. Uno al quale raramente si pensa, e invece è fondamentale, è una sorta di «asse dell’energia». Possiamo farlo partire da Sergnano, provincia di Cremona, dove la Snam ha il suo nuovo impianto di compressione. Detto così suona però in modo pericolosamente noioso. Non lo è. Sergnano è il posto da cui si consente alla rete di gestire i flussi che, alla fine di un lunghissimo viaggio (per inciso: Snam è il primo gruppo in Europa per estensione delle infrastrutture e capacità di stoccaggio), trasforma e poi porta il gas nelle nostre case. È questo — il «come» — ciò che i tecnici del gruppo mostreranno nell’Open Factory Sunday. Che sarà, anche, l’occasione per parlare di efficienza energetica, biometano, tecnologie innovative per aumentare l’uso di quella risorsa chiave per la green economy che è il gas rinnovabile.
Spostarsi da Sergnano verso San Donato Milanese significa andare al cuore «storico» dell’industria energetica italiana. Lì c’è la sede Eni, oltre che della stessa Snam, ed Eni vuol dire energia a 360 gradi: esplorazione, sviluppo, estrazione, trading di petrolio e gas naturale, commercializzazione di elettricità, carburanti, lubrificanti. E ricerca, naturalmente. Il laboratorio che aprirà le sue porte al pubblico domenica prossima propone quattro percorsi-racconto: un viaggio in 3D, con tanto di microscopio elettronico e tomografie computerizzate, all’interno di un giacimento; la lunga strada dell’energia dal petrolio di ieri, ai biocombustibili di oggi, alla fusione magnetica di domani; le scienza e le tecnologie grazie alle quali ripulire l’ambiente in caso di «sversamenti» di petrolio (quante volte capita, ovunque?); i progetti di riduzione dei consumi riciclando gli scarti e trasformandoli in nuova materia per produrre energia (e qui si entrerà nel mondo delle nanotecnologia: verranno accese le luci degli elettroni per vedere la struttura della materia, si «spierà» il nucleo degli atomi utilizzando il magnetismo»).
In tema, in qualche modo, è la tappa finale di questo itinerario. I materiali da imballaggio nascono, spesso, da derivati del petrolio. Il problema dell’impatto ambientale lo conosciamo tutti, anche se non tutti (anzi) facciamo la nostra parte riciclando la plastica, le lattine, gli sticker vuoti dei medicinali. Negli stabilimenti del gruppo Castagna Univel che a Guardamiglio (Lodi), Mortara (Pavia) e Vercelli producono imballaggi flessibili per l’alimentare, la farmaceutica, la cosmetica, il viaggio nella produzione del packaging si concluderà dunque proprio qui: sulla «responsabilità green» che un’azienda leader del settore riconosce di avere e sul «come» può essere affrontata già a partire dalla fabbrica.
Modena-Parma. I motori dell’Emilia
C’è un quadrilatero, al centro della Via Emilia, che ormai tutti chiamano così: la Motor Valley italiana. Non perché lì — tra Bologna, Modena, Parma — ci sia la più alta concentrazione di produzioni automotoristiche (non raggiungerebbe quella di un singolo stabilimento Fca). Ma c’è qualcosa, nel dna di questa terra, che ne fa la capitale della velocità e dei motori estremi. È una capitale «diffusa», nel senso che va oltre i marchi più noti e che Ferrari, Maserati, Lamborghini (o Ducati, per le due ruote) sono certamente il top. Ma non da soli. Giampaolo Dallara, per dire. Il suo nome, nel mondo delle vetture da competizione e/o stradali ad altissime prestazioni, non ha bisogno di biglietti da visita. Poiché questo è un settore in cui i segreti industriali sono a livello Nasa, non c’è azienda che apra al pubblico proprio tutti i reparti (galleria del vento in primis). La Dallara Automobili non fa eccezione. Ha però appena inaugurato un’Academy. Ospita laboratori dedicati agli studenti e — soprattutto, per gli appassionati — ciascuno dei modelli che hanno segnato la storia dell’azienda da quando, nel 1972, «l’ingegnere» decise di mettersi in proprio: è questo, il programma dell’Open Factory Sunday a Varano de’ Melegari, pochi chilometri da Parma.
Prima di «mortadella, ciccioli e lambrusco», perché l’Emilia è anche terra di buona enogastronomia e nella tappa di Modena verrà ovviamente a sua volta celebrata (a fine giornata, però), sarà una Lamborghini Aventador a prendersi la scena. Il palco: quello di Imperial Group, ovvero come diventare un’azienda d’eccellenza grazie a un know how unico (Lamborghini, gruppo Volkswagen, docet) nel processo di verniciatura richiesto dalle supercar. Supercar che non avranno mai (forse) problemi di cybersecurity. Almeno non quanto una qualsiasi vettura mass market. È verissimo però che questo — la difesa da hacker che potrebbero prendere di mira un’auto esattamente come fanno con un computer — nell’era digital è uno dei temi in primo piano nell’agenda di qualunque costruttore. Negli uffici modenesi della Vem Sistemi la domenica di Open Factory darà un’idea di cosa significhi e cosa comporti, mettere «in sicurezza» il modo di lavorare, di viaggiare e in definitiva semplicemente di vivere in un mondo sempre più influenzato dalla cosiddetta «quarta dimensione» internettiana.
Più ludico, di ritorno su Parma, il passaggio in Davines. Non meno tecnologico, però. Chi pensa che il gruppo produca «solo» shampoo e prodotti per capelli, si ricrederà visitando il laboratorio di Ricerca & Sviluppo, la fabbrica vera e propria, l’orto scientifico. E si farà in parallelo un’idea di cosa voglia dire, nella pratica, «economia sostenibile».