
Per Marco Bettiol «Più che una semplice cultura manifatturiera l’Italia ha una manifattura culturale, nel senso che creiamo cultura con i nostri prodotti, dalla loro fabbricazione alla loro immissione nel mercato, e li rendiamo riconoscibili come italiani». I casi di Bonotto, Came, Pianca e Fedon
di Roberto Turetta
Cultura e manifattura. Anzi no, cultura è manifattura. Un tempo due campi considerati antitetici e per questo posti su binari divergenti, quasi che il lavoro – ed il lavorare con le mani – fosse stato l’esatto contrario della cultura, intesa come esercizio intellettuale puramente astratto. Negli ultimi anni questa separazione è andata però progressivamente assottigliandosi, fino quando è stata ribaltata la concezione alle spalle: un’impresa produce di per se stessa cultura, quando costruisce ed elabora prodotti che incorporano contenuti, idee e valori che poi comunica al mercato e ai consumatori. Anche perché, in questa rivalutazione del nesso cultura-manifattura si gioca la stessa definizione di Made in Italy. Lo sostiene Marco Bettiol, esperto di marketing e saggista, che presenterà il proprio libro “Raccontare il Made in Italy” nel corso di Open Factory, la manifestazione che aprirà le porte di oltre 50 imprese creative domani 29 novembre. «Il legame tra manifattura e cultura è uno degli elementi che contraddistinguono il made in Italy. Molti dei prodotti per i quali siamo apprezzati sui mercati internazionali non sono solo il risultato di un processo di tipo industriale ma nascondono una complessa evoluzione storica e sociale. Dall’agroalimentare, all’arredamento, alla moda fino alla meccanica sono numerosi gli esempi nei quali appare evidente il contenuto culturale delle produzioni italiane. E’ infatti questo legame che trasforma prodotti altrimenti ordinari in straordinari – continua Bettiol -. Più che una semplice cultura manifatturiera l’Italia ha una manifattura culturale, nel senso che creiamo cultura con i nostri prodotti, dalla loro fabbricazione alla loro immissione nel mercato, e li rendiamo riconoscibili come italiani. Prendiamo per esempio il caffè espresso: è una bevanda che nel mondo viene connotata immediatamente come tipica del Belpaese, ma che alle spalle ha una lunga storia di ricerca, di applicazione e di inventiva».
A questo punto bisogna però chiedersi come possa essere declinato il concetto di culturale. Uno degli esempi più citati in questi anni è quello relativo alla Bonotto operativa nel settore del tessile, con base a Molvena (Vi), promotrice di iniziative legate al recupero del saper fare e del lavoro artigiano più antico come “La Fabbrica Lenta”. In altre parole, i suoi attuali titolari Lorenzo e Giovanni Bonotto, hanno concretizzato un sistema di produzione senza macchinari elettronici e automatismi tipici della produzione industriale che compete sui costi, per tornare ad utilizzare gli antichi telai manuali. Nel caso di Bonotto il prodotto tessile (destinato alle grandi maison) trae esso stesso ispirazione dall’arte contemporanea, elemento vitale, vissuto e condiviso in ogni fase della lavorazione.
Un’altra storia, nel settore dell’arredamento, è quella di Pianca a Gaiarine ai confini tra le provincie di Treviso e Pordenone, che ha contribuito a rinnovare il design in Italia e nel mondo ponendosi l’obiettivo di anticipare le tendenze ricorrendo spesso a giovani designer.
Caso completamente diverso quello della Came di Dossion di Casier, attiva nell’automazione di cancelli. Partita nel 1972 su iniziativa dei due fratelli Angelo e Paolo Menuzzo è divenuta una piccola multinazionale con oltre un migliaio di addetti e commesse prestigiose come i tornelli per l’Expo 2015 di Milano. In questo caso, oltre agli aspetti di design, sono due i fattori cruciali messi in gioco: la cultura tecnica e tecnologica, nella quale prevale un fortissimo impegno in ricerca e sviluppo, e la capacità di personalizzare il prodotto sui vari mercati esteri seguendo i diversi approcci culturali prevalenti nei diversi Paesi e mercati.
Altro caso ancora è quello della Fedon. Il suo percorso inizia nel 1919, con la fabbricazione di astucci per occhiali in una zona fortemente specializzata in questo settore, per poi sviluppare un proprio marchio nella pelletteria secondo il precetto che produrre non vuol dire soltanto materializzare un oggetto ma comunicare storia e valori. Da qui anche la scelta del marchio Fedon 1919, che richiama proprio le origini “artigiane” delle lavorazioni, caratterizzate oggi da una cura del prodotto e attenzione al design.
Storie assai diverse di un binomio tra cultura e manifattura che, alla fine, caratterizza a ben vedere, come sottolinea lo stesso Bettiol, «la cultura è una riserva inesauribile di idee, storie, pratiche che il nostro Paese ha a disposizione per qualificare il prodotto». Che, se vende, lo deve proprio a quello straordinario valore aggiunto che sta nel dna culturale che contamina in maniera così evidente il manifatturiero del nostro Paese.