Bonomi: qui si rappresenta l’impresa aperta al mondo
aldo Bonomi

di Chiara Andreola

«Partirei dalle definizioni di tre grandi maestri»: così esordisce Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster, nel delineare l’interazione tra impresa e territorio in vista del suo intervento alla Keyline di Conegliano per Open Factory domenica prossima. La prima citazione è di Giacomo Becattini, secondo cui “l’impresa è un progetto di vita”: «Di qui traspare la storia di tanti piccoli imprenditori che hanno iniziato “dal sottoscala “– osserva Bonomi – e che nell’aprire le loro aziende mettono in mostra non solo degli oggetti o dei processi produttivi, ma la propria vita, il proprio orgoglio, e il proprio ruolo nella comunità. L’impresa non è solo una molecola del capitale, o un numero in Borsa se è quotata – e del resto nel Nordest ad essere quotate sono poche -, ma è molto di più: e se l’azienda si fa museo per un giorno, c’è tutta questa vita rappresentata».

Il secondo è Giorgio Foà, che in riferimento al Nec (Nord-est-centro) parlava di “metalmezzadro”: «Qui traspare quel radicamento nella comunità e nella campagna del contadino che si è fatto imprenditore, e di un progetto di vita che ha unito entrambi gli aspetti: e anche questa è una caratteristica saliente del Nordest. Noto spesso come l’imprenditore, nel far visitare la sua azienda ha due orgogli: il rapporto con la comunità e con gli operai, quasi come fossero la sua famiglia; e il capannone, che ti presenta come fosse casa sua, tanto che bada anche all’estetica oltre che alla produzione, alla ricerca e sviluppo». In quest’ottica «non possiamo negare che nel Nordest c’è un intreccio profondo tra agricoltura, turismo e manifattura: e che queste tre dimensioni vanno tenute insieme. Non possiamo pensare di smantellare quest’ultima per puntare sulle altre due, anche se veniamo dalla “sbornia” di Expo».

Infine Bonomi cita Giuseppe De Rita, «che ci ha spiegato che esiste il “genio egoista dell’impresa”: senza questo non si va avanti, non si emerge. Ma quando l’impresa è avviata, bisogna anche porsi il problema di rappresentare se stessi: e questa è la grande intuizione di Open Factory. Non c’è solo il museo d’impresa, ma l’impresa stessa è un museo dinamico di operosità aperto al territorio con la contaminazione che ne deriva».

Una giornata, secondo il direttore dell’Aaster, importante soprattutto per tre ragioni: la già citata evoluzione della cultura d’impresa, che ha portato alla volontà di sapersi rappresentare e «dimostrare che non si è fatti solo con i soldi»; la messa in luce dell’innovazione, «perché con la crisi è sopravvissuto chi ha innovato e si è aperto ai talenti del territorio. Pensiamo all’azienda che io visiterò, la Keyline: la chiave è diventata un vero e proprio oggetto di meccatronica, e non ho dubbi sul fatto che questa evoluzione coinvolga anche i makers e la stampa 3D, per tenere insieme estetica e tecnologia». Infine per un dato culturale che riguarda il ruolo sociale delle aziende: «Siamo passati da eventi come il Festival città impresa, in cui il focus è sui distretti e sulle città, al tessuto diffuso di aziende che si apre dicendo “noi ci siamo”. Un’operazione intelligente che auspico produca un cambio di logica anche nel rapporto con le università, con gli istituti tecnici e le famiglie che vi manderanno i propri figli a studiare, e con la comunità locale più al largo: perché, dopo la delocalizzazione, è tempo di ripartire dai saperi del territorio pur nella coscienza di essere attori in un contesto globale». Infine, dopo una crisi che Bonomi definisce “una questione sociale”, «si è capito che le imprese sono un patrimonio: aprirle è un segnale di speranza».